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Allevamenti, chiudono le piccole stalle e cresce l’orrore degli allevamenti intensivi in Italia

Il mondo dell’allevamento italiano sta vivendo una profonda trasformazione che, dietro numeri apparentemente positivi, nasconde una realtà inquietante per il benessere degli animali. Negli ultimi dieci anni, il panorama zootecnico italiano ha visto la chiusura di ben 19.000 allevamenti, pari al 23% del totale.

Un dato che a prima vista potrebbe far sperare chi, come l’Enpa, lotta per i diritti degli animali. Purtroppo, un’analisi più attenta rivela una tendenza drammatica: nello stesso decennio, il numero complessivo di animali allevati è diminuito in maniera molto meno significativa, con un calo di appena il 2,9% per gli animali da carne e il 4,9% per quelli da latte.

Questi dati, forniti da Serafino Cremonini, presidente di Assocarni, e riportati dall’Adnkronos, indicano chiaramente un fenomeno di concentrazione: le piccole e medie aziende agricole stanno scomparendo, lasciando spazio a strutture sempre più grandi e industriali, orientate all’allevamento intensivo.

Cremonini ha specificato che in Italia operano circa 100.000 allevatori, di cui 65.000 da carne. La chiusura di 19.000 strutture in dieci anni, con un calo particolarmente drastico del 30% per gli allevamenti misti (carne e latte), dimostra che il settore sta virando sempre di più verso un modello di produzione su scala industriale.

Il futuro è senza carne: la scelta etica per porre fine alla sofferenza

Questa concentrazione del settore significa, purtroppo, una sola cosa: meno spazio, più sofferenza. Il modello dell’allevamento intensivo, quello che garantisce margini di profitto attraverso il sovraffollamento, la privazione della libertà di movimento e l’impiego massiccio di farmaci, è in netto consolidamento. Gli animali diventano numeri, ingranaggi di una macchina produttiva che ignora completamente le loro esigenze etologiche e il loro diritto a una vita dignitosa.

Di fronte a questa marcia verso l’industrializzazione della vita, l’Enpa ribadisce con forza il suo appello: il futuro è senza carne. Non si tratta solo di una questione di salute e di sostenibilità ambientale, ma di un imperativo morale.

Se i grandi allevamenti intensivi prosperano, è perché esiste una domanda. Ogni cittadino ha nelle proprie mani il potere di invertire questa tendenza, adottando un regime alimentare a base vegetale o, comunque, riducendo drasticamente il consumo di prodotti animali. Questa è l’unica via per disincentivare un sistema che trasforma gli esseri senzienti in merce, condannandoli a un’esistenza fatta di privazioni e dolore.

È tempo che la politica e i consumatori riconoscano l’urgenza di questo cambiamento etico. La vera protezione degli animali inizia a tavola: scegliere plant-based non è una rinuncia, è un atto di giustizia e di civiltà per milioni di animali che ogni anno sono reclusi e uccisi in Italia.