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Come si supera il lutto per la morte di un animale di casa? L’accettazione sociale e quando adottarne un altro

di Alessia Colaianni

Il meccanismo non è diverso da quello per la perdita di una persona. Cambia però la reazione della società: non sempre viene compreso il dolore per un cane o un gatto che ci hanno lasciati. Ne parliamo con la dott.ssa Elisa Silvia Colombo

È il momento che più temiamo quando iniziamo a veder comparire una maschera di pelo bianco sul muso del nostro cane oppure se ci accorgiamo di qualche problema di salute in più nel gatto di casa. Poi accade. Ci ritroviamo costretti a salutare per sempre il nostro compagno animale e ci sentiamo svuotati di tutto l’amore che ci legava. Privati delle abitudini, quasi derubati di un legame prezioso che non avremmo voluto spezzare mai. La morte di chi ci è caro è un’esperienza dura, inevitabile, e se il lutto riguarda un animale può diventare persino più ostico. Elisa Silvia Colombo, psicologa clinica e psicoterapeuta, esperta nel rapporto essere umano – animale, ci aiuta a comprendere cosa significhi la perdita di un animale e ciò che gravita intorno a noi in queste fasi così complesse della nostra esistenza.

Esiste una definizione di «lutto»?

«Ce ne sono tante. A me ne piace una molto ampia che ha dato il filosofo Umberto Galimberti ed è la definizione che viene forse più accettata rispetto al significato del lutto. Lui dice che viviamo uno stato di lutto ogni volta che perdiamo qualcosa che per noi è importante, quindi non solo quando muore qualcuno a noi caro, ma anche quando perdiamo, ad esempio, un ruolo sociale oppure delle aspettative, magari perché rinunciamo a un nostro desiderio, un nostro obiettivo. Quindi è una definizione molto vasta che, secondo me, aiuta a comprendere lo stato emotivo associato al lutto che, nella sua accezione più pura, più originale, è legato proprio alla perdita dovuta alla morte di qualcuno che amiamo».

Il lutto può, quindi, investire numerosi aspetti della nostra vita. La diversità di ciò che perdiamo si riflette anche in ciò che proviamo? La morte di un animale a noi caro ha caratteristiche differenti rispetto a quella di un umano o sono sovrapponibili?

«L’aspetto di maggior differenza è nel modo in cui il lutto viene riconosciuto a livello sociale perché nel vissuto individuale, nelle reazioni che noi abbiamo alla perdita, il lutto per la morte di un animale di famiglia e per la perdita di una persona cara sono assolutamente sovrapponibili. Quello che cambia è la reazione della società. Quando perdiamo una persona cara, generalmente, riceviamo molta vicinanza, anche in virtù di quei rituali codificati come il funerale, la sepoltura o tutto l’aspetto della veglia. Queste sono pratiche connesse a una dimensione sociale quasi sempre assenti nella perdita di un animale, per cui il lutto è frequentemente vissuto in solitudine. A volte è anche molto difficile confidarsi con qualcuno, condividere il proprio stato d’animo, perché si ha timore del giudizio. Si dice che il lutto per gli animali da compagnia è un lutto non legittimato, non riconosciuto proprio perché quello che spesso accade è che le nostre emozioni, il nostro stato d’animo, i nostri pensieri vengano squalificati, sminuiti. Quante volte ci si sente dire “Dai, era solo un gatto” oppure “Ne prendi un altro e vedrai che ti passa”. Quando muore una persona nessuno si sognerebbe di affermare qualcosa di simile».

Quanto questo mancato riconoscimento del lutto per la morte di un animale ne ostacola l’elaborazione?

«Il lutto è un processo del tutto naturale, non è una malattia, noi siamo equipaggiati per poter superare, per poter metabolizzare le perdite, per trovare un nuovo equilibrio dopo che viviamo un’esperienza di questo tipo. È anche vero che questo processo è agevolato dalla possibilità di avere al proprio fianco qualcuno con cui condividere le proprie emozioni, a cui poter narrare l’esperienza, perché nella narrazione, nella ritualità, nella condivisione, abbiamo modo di trasformare le nostre emozioni, soprattutto quelle più difficili. Penso, per esempio, al senso di vuoto, al senso di colpa che spesso è presente nel lutto. Il fatto che questa dimensione sociale di supporto spesso sia limitata, o venga del tutto a mancare, nella perdita di un animale da compagnia sicuramente complica un po’ l’elaborazione, la rallenta».

Ascoltando le storie di chi ha appena perso il proprio compagno animale emerge spesso il senso di colpa, la convinzione di non aver fatto abbastanza. In quale modo possiamo superare questo pensiero che può diventare assillante?

«Non è semplice, perché il senso di colpa nasce spesso non solo dalla responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri animali, ma anche da una tendenza, umanamente condivisa, al controllo. Siamo abituati come esseri umani a poter controllare gli eventi, poter influenzare il corso delle cose e un po’ ci illudiamo di poterlo fare sempre. Quando arriva la malattia grave, la morte, ci scontriamo proprio con il fatto che non tutto è sotto il nostro controllo, che esiste sempre un elemento di fatalità, di ineluttabilità, sul quale non possiamo intervenire. Per la nostra mente è difficilissimo accettarlo e i sensi di colpa, in maniera un po’ paradossale, emergono anche per far sì che questo aspetto della mancanza di controllo possa essere in qualche modo ridefinito: se io trovo un colpevole, anche a costo di stare male perché quel colpevole sono io, in qualche modo ripristino l’ordine a cui sono abituato. C’è una causa e c’è un effetto, le conseguenze dipendono dalle mie azioni. Questo ci fa stare meglio perché ci permette di dire “Ok, allora se avessi agito in maniera diversa avrei potuto controllare anche questa cosa”. Quindi, per superare il senso di colpa, bisogna innanzitutto riuscire ad accettare che non tutto è sotto il nostro controllo, che non siamo onnipotenti. Si tratta di riconoscere la nostra umana imperfezione».

Purtroppo esistono persone che approfittano dei sensi di colpa e della fragilità di chi ha appena perso un amico. Anche nella sfera del lutto per gli animali si insinuano personaggi come sedicenti sensitivi e medium.

«Sempre più spesso mi capita di sentire persone che, prima di rivolgersi a uno specialista, hanno trovato sensitivi e cartomanti che promettono in qualche modo di metterle in contatto con l’animale che non c’è più. Mi preoccupa che questi individui si stiano rivolgendo in maniera sempre più specifica a chi sta subendo il lutto per la perdita del proprio animale, garantendo soluzioni facili in un momento di grande vulnerabilità. Questi soggetti promettono di dare certezze e dichiarano di poter entrare in contatto con il defunto per conoscere le circostanze della sua morte, quando ignote, o per fare da tramite per un ultimo messaggio prima della separazione. Tutto questo è molto pericoloso per l’elaborazione del lutto perché la rallenta, la ritarda, rischia di creare delle dipendenze da questi mediatori in chi fa più fatica ad accettare la morte e a trovare un modo per andare avanti senza il proprio animale. Spesso tali figure si pubblicizzano in gruppi Facebook dedicati al lutto e così riescono ad avvicinare i futuri clienti, oppure promuovono le loro attività con un marketing digitale piuttosto aggressivo ed efficace, per cui compaiono nei primi risultati dei motori di ricerca con i loro siti web. Inizialmente possono essere vaghi nel riferire i propri servizi e si comprende ciò che fanno solo più in là, quando hanno già introdotto una comunicazione persuasiva importante».

Parlavamo di rituali. Esistono pratiche, simili a quelle che noi utilizziamo per la perdita di amici e familiari umani, grazie alle quali possiamo sentirci meglio?

«Molto varia a seconda della sensibilità individuale. Nel settore degli animali d’affezione cominciano a essere disponibili alcuni rituali: ci sono i cimiteri per gli animali in alcune zone d’Italia, dove è possibile seppellire i propri cari e spesso viene anche organizzata una piccola cerimonia di commiato prima della sepoltura. Esistono anche servizi di cremazione e riaffido delle ceneri. Oltre questo, ognuno trova un suo modo per sentire il proprio animale ancora vicino e per trasformare pian piano il legame basato sulla presenza fisica in un legame che vive nel ricordo, che si nutre di quello che l’animale ci ha lasciato e per il quale gli siamo grati. Il disegno, la scrittura, la possibilità di creare qualcosa in memoria del compagno scomparso sono tutti piccoli rituali che le persone utilizzano e che aiutano a sentire conforto e a elaborare gradualmente la perdita».

Come possiamo capire di essere pronti ad accogliere un nuovo compagno animale nella nostra famiglia?

«Il momento giusto in cui accogliere un nuovo animale in casa dipende dalle aspettative che nutriamo nei suoi confronti. Non è la scelta giusta se pensiamo che possa in qualche modo andare a colmare un vuoto e riportare indietro chi non c’è più, perché dobbiamo sempre tenere presente che ogni animale è un individuo a sé, quindi anche se noi dovessimo prenderne uno della stessa razza, dello stesso colore, magari gli diamo anche lo stesso nome, non sarà mai uguale a chi abbiamo perso. Avrà una personalità diversa, delle esperienze diverse, il legame che avrà con noi sarà tutto da costruire. Questa situazione rischia di farci sentire ancora di più la mancanza di chi c’era prima e di produrre una reazione di delusione. Siamo, invece, pronti ad accogliere nuovamente un animale in casa se ci sentiamo aperti verso una nuova avventura, se non nutriamo aspettative rispetto a chi arriverà».

Quali segnali ci aiutano a riconoscere che da soli non stiamo riuscendo a elaborare un lutto e che è consigliabile chiedere aiuto a un professionista?

«Di solito ciò che accade nel processo di elaborazione del lutto è che le nostre reazioni alla perdita, soprattutto le reazioni emotive più intense, più frequenti, tendono a rientrare e a essere mitigate col passare del tempo. Se ci rendiamo conto che, trascorsi alcuni mesi dalla morte del nostro animale, siamo ancora al punto di partenza, quindi sentiamo ancora molto forte il senso di vuoto, di mancanza, sentiamo che il dolore è ancora lacerante, abbiamo sensi di colpa che non riusciamo a superare, allora è il caso di chiedere un aiuto. Così come se abbiamo dei pensieri che ci spaventano o spaventano le persone a noi vicine, come pensieri legati al suicidio o rabbia verso chi ha causato o supponiamo abbia causato la morte del nostro caro.

A volte può essere utile chiedere aiuto subito dopo la perdita oppure quando capiamo che perderemo il nostro animale, ad esempio, perché ci è stata comunicata una diagnosi grave oppure vediamo che sta invecchiando e siamo consapevoli che non potrà vivere a lungo. In questo caso il significato del supporto può essere quello di maturare una maggiore consapevolezza delle proprie reazioni, perché nella nostra società la morte viene sempre tenuta un po’ in disparte, non ne parliamo, non la viviamo e quindi tante persone temono le proprie risposte nel momento in cui vivono il lutto. Sapere cosa ci si deve aspettare relativamente al processo del lutto, alle reazioni che sono comuni in queste situazioni, aiuta a sentirsi confortati perché si capisce che ciò che si sta provando è normale e fa parte delle nostre esistenze».

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