Il processo di Norimberga: i nazisti sul banco degli imputati
Nell’aula del Tribunale di Norimberga, di fronte ai gerarchi del Terzo Reich, sedevano alcuni uomini con un compito inedito: giudicare i crimini più efferati mai commessi, dando forma a una giustizia che non esisteva ancora. Erano i giudici del Tribunale militare internazionale. Nessuna giuria popolare, nessun precedente legale: solo 4 nazioni vincitrici e 8 uomini chiamati a dare un verdetto al male.
La corte era composta da un titolare e un supplente per ciascuna delle potenze Alleate: Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica e Francia. Ciascuno portava con sé una cultura giuridica, un sistema di valori e una propria idea della giustizia. Per gli Stati Uniti, il giudice principale fu Francis Biddle, ex procuratore generale, figura equilibrata e riflessiva. A coadiuvarlo, John Parker, più incline a giudizi severi. I britannici erano rappresentati da Geoffrey Lawrence, nominato presidente del Tribunale, un uomo dalla grande compostezza, che per tutto il processo tentò di tenere unite le delegazioni. I francesi nominarono Henri Donnedieu de Vabres, professore di diritto penale, il più garantista di tutti. I sovietici scelsero Iona Nikitchenko, giudice militare dei processi staliniani degli Anni ’30 e per il quale invece “l’imputato è colpevole fino a prova contraria”. Vi erano poi i pubblici ministeri di ciascun Paese alleato che rappresentavano l’accusa.
Divergenze. Tra i giudici ci furono accese discussioni sull’impianto accusatorio e sulle condanne. Del resto il compito non era semplice: dovevano giudicare crimini, come il genocidio, che giuridicamente non esistevano ancora. Ma, come racconta uno dei verbali, “tutti erano consapevoli che non stavano solo applicando la legge ma la stavano scrivendo” e alla fine trovarono un equilibrio.