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La tartaruga verde non è più un animale in via di estinzione: l’aggiornamento della lista Iucn

di Silvia Morosi

La specie è stata riclassificata da «in pericolo» a «minimo rischio» di estinzione. Gli esperti parlano di una «svolta storica» per la conservazione, frutto di anni di sforzi per proteggerla da caccia e distruzione degli habitat

La tartaruga verde (Chelonia mydas) è stata salvata dall’orlo dell’estinzione, in quella che gli scienziati definiscono una «grande vittoria» per la conservazione. A confermarlo l’ultima Lista Rossa dell’Iucn, pubblicata in occasione del congresso mondiale dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura tenutosi ad Abu Dhabi (dopo l’incontro di Marsiglia nel 2021). Un tempo ampiamente cacciata per la zuppa di tartaruga – le sue uova erano considerate una prelibatezza e i carapaci utilizzati come decorazioni – questa antica specie era stata inserita nella lista delle specie in via di estinzione a partire dagli anni ’80. Ora, grazie a decenni di sforzi globali, dalla protezione dei piccoli sulle spiagge alla riduzione delle catture accidentali nelle reti da pesca, passando per le attività di sensibilizzazione, le popolazioni stanno riprendendo vigore. «Dobbiamo usare questa vittoria come catalizzatore per ottenere numerosi altri successi», ha dichiarato Nicolas Pilcher della Marine Research Foundation, no-profit con sede a Sabah, in Malesia.

LE PRINCIPALI MINACCE

Le tartarughe verdi sono una delle specie più grandi di tartarughe marine e devono il loro nome al colore del grasso corporeo, derivante dalla loro dieta vegetale. Sono una delle sette specie viventi di tartarughe marine, due delle quali sono in grave pericolo di estinzione. «Centinaia di migliaia di persone lavorano da decenni per cercare di prendersi cura di queste creature iconiche e carismatiche. E senza dubbio il loro impegno ha avuto un impatto positivo», ha dichiarato alla Bbc Brendan Godley, scienziato della conservazione presso l’Università di Exeter. Nonostante i recenti progressi, i numeri delle tartarughe verdi sono ancora ben al di sotto dei livelli storici a causa del passato sfruttamento eccessivo e di minacce persistenti come la pesca, la perdita di habitat e i cambiamenti climatici.

LE ALTRE SPECIE A RISCHIO

L’elenco aggiornato dalla Iucn comprende ora 172.620 specie, di cui 48.646 sono minacciate di estinzione: gli esemplari vengono spostati da una categoria all’altra quando nuovi dati mostrano cambiamenti nella loro popolazione, nel loro habitat o nelle minacce a cui sono esposti. Cattive notizie sono arrivate, invece, per altre specie come le foche artiche, che si stanno avvicinando all’estinzione a causa della perdita di ghiaccio marino, utilizzato per riprodursi, riposare e nutrirsi. Nello specifico, la foca dal cappuccio (Cystophora cristata) è passata da «vulnerabile» a «in pericolo», mentre la foca barbata (Erignathus barbatus) e la foca della Groenlandia (Pagophilus groenlandicus) sono passate da «minore preoccupazione» a «quasi minacciata». A destare maggiore preoccupazione sono coralli (il 44% delle specie è minacciato) e anfibi (41%). E ancora, secondo l’Iucn il 61% delle specie di uccelli del mondo sta vedendo la propria popolazione diminuire, rispetto al 44% del 2016. L’aggiornamento identifica Madagascar, Africa occidentale e America centrale come le regioni in cui la perdita di foreste tropicali rappresenta una minaccia crescente per gli uccelli. «Il fatto che tre specie di uccelli su cinque nel mondo abbiano popolazioni in declino dimostra quanto sia profonda la crisi della biodiversità e quanto sia urgente che i governi adottino le misure che si sono impegnati a rispettare in base a molteplici convenzioni e accordi», ha evidenziato Ian Burfield, coordinatore scientifico di BirdLife e coordinatore della Bird Red List Authority. Il direttore generale dell’Iucn, Grethel Aguilar, ha sottolineato «la reale possibilità di fornire soluzioni di cui abbiamo bisogno per costruire un Pianeta in cui umanità e natura possano prosperare insieme».

ESTINZIONI

Nell’aggiornamento, sei specie sono state spostate nella categoria «estinta», tra cui il toporagno dell’Isola di Natale (Crocidura trichura), una specie di lumaca conica (Conus lugubris), il chiurlo dal becco sottile (Numenius tenuirostris), un uccello costiero migratore registrato l’ultima volta in Marocco nel 1995 e il Diospyros angulata, una specie dello stesso genere degli ebano, registrata l’ultima volta nei primi anni ’50 del XIX secolo. Tre mammiferi australiani, il Perameles myosuros (marna), il bandicoot striato del sud-est (Perameles notina) e il bandicoot barrato di Nullarbor (Perameles papillon), nonché la Delissea sinuata, una pianta originaria delle isole Hawaii, sono stati valutati per la prima volta e sono entrati nella Lista Rossa come «estinti».

«CONNETTERSI CON IL PIANETA PER RIPRISTINARLO»

In occasione dell’assemblea è stato, anche, presentato il report Global Land Outlook che lancia un allarme globale: quasi un terzo della superficie terrestre è già stato profondamente trasformato dall’attività umana, lasciando gli ecosistemi degradati. In particolare, oltre il 60% dei fiumi del mondo – denuncia il report – è stato deviato o interrotto da dighe; strade, ferrovie e città continuano a frammentare gli habitat e si prevede che la rete stradale si espanderà del 60% entro il 2050, esercitando una pressione ancora maggiore sugli ecosistemi; il degrado del suolo colpisce già fino al 40% del Pianeta. «La vita sulla Terra – ha sottolineato la segretaria esecutiva dell’Unccd (Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione)

Yasmine Fouad – dipende da sistemi terrestri e idrici sani, non solo per la natura, ma anche per le persone. Quando questi legami si rompono, sono i più vulnerabili a soffrire per primi. Questo rapporto dimostra che ripristinare gli ecosistemi significa anche ripristinare i legami tra loro: dobbiamo connetterci per ripristinare e ripristinare per connetterci».

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