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L’addio al cane Joyce e la corsa disperata per salvarlo: “I Carabinieri ci hanno aperto la strada”

Le sirene squarciavano il traffico di piazza Borsa, nel cuore di Napoli. Dietro alla volante dei Carabinieri, un’auto correva a tutta velocità: dentro, Antonio Bellisario, 64 anni, stringeva tra le braccia il suo cane Joyce, uno Shiba Inu di quasi tredici anni, ormai privo di sensi. “Stava morendo, non respirava più — racconta Antonio in esclusiva a La Zampa —. Ho visto la macchina dei Carabinieri e gli ho gridato dal finestrino: vi prego, aiutatemi!”. I militari non hanno esitato: sirene accese, lampeggianti, strada aperta fino alla clinica veterinaria di via Cirillo, due chilometri più avanti. “Mi hanno scortato nel traffico, davanti a me, tra le auto che si spostavano. Non lo dimenticherò mai”.

La corsa disperata nel traffico

I minuti sembravano eterni. Ogni semaforo, ogni curva, una preghiera. Quando finalmente arrivano alla clinica, i Carabinieri non se ne vanno. Restano lì, si assicurano che Joyce venga preso subito in cura. Ma purtroppo non c’era più nulla da fare: Joyce aveva attraversato il ponte. “Si sono accertati di come stesse, ci guardavano con uno sguardo pieno di partecipazione. Hanno mostrato una sensibilità rara, una vera umanità”.

Un amore lungo tredici anni

Joyce era arrivato nella vita di Antonio da cucciolo, sessanta giorni dopo la nascita a Sassano, in provincia di Salerno. “Era un regalo per mia figlia Marika — racconta —. Lei aveva diciotto anni, oggi ne ha trenta. Joyce è cresciuto con noi, è stato parte della nostra famiglia. Un figlio”. Con il suo carattere fiero e indipendente, tipico della razza Shiba, Joyce aveva conquistato tutti. “Era tosto, un capobranco, ma dolce e affettuoso. Chi lo conosceva gli voleva bene. Amava andare nell’area cani del complesso di Santa Chiara, che mia moglie in prima persona si è impegnata per creare. Lì correva libero. Poi adorava i wurstel e riempiva le nostre giornate con il suo entusiasmo. Era un cane speciale”.

Il malore improvviso e l’illusione di un miglioramento

Nei giorni precedenti al dramma, Joyce aveva avuto un lieve malore. “Aveva vomitato, ma sembrava nulla di grave. Il veterinario pensava a una pancreatite. Il giorno dopo era tornato a casa scodinzolando. Pensavamo fosse passato tutto”. Ma poi l’improvviso peggioramento. “Mia moglie stava per accompagnarlo dal veterinario per il controllo, io ero a lavoro vicino casa. Lei ha sentito due ululati, poi il silenzio. Mi ha chiamato. Sono corso, l’ho trovato accasciato sul pavimento, che non reagiva. L’ho preso, l’ho messo in macchina e sono partito”. Poi l’ingorgo, la paura, la corsa disperata.

Il gesto che resta nel cuore

Nonostante la rapidità, e l’impegno dei Carabinieri, Joyce non ce l’ha fatta. “In quel momento il mondo si è fermato. Anche i Carabinieri ci sono rimasti male: avevano creduto con noi che ce l’avremmo fatta”. Oggi Antonio e Loredana vivono il dolore di un’assenza che pesa come una presenza. “Per noi era un figlio. Non ce la sentiamo ancora di accettarlo. La casa è vuota, ma piena di lui. Ogni angolo parla di Joyce”.

Un’eredità di amore e gratitudine

Accanto alla tristezza, resta la riconoscenza per quel gesto di solidarietà che ha dato dignità all’ultimo viaggio di Joyce. “Voglio ringraziare di cuore quei Carabinieri. In quel momento terribile, la loro umanità ha reso tutto un po’ meno difficile”. E insieme alla gratitudine, c’è anche la consapevolezza di quanto Joyce abbia trasformato per sempre la vita di Antonio e Loredana. “Prima di lui — racconta Antonio — non avevamo una grande familiarità con gli animali. Li rispettavamo, certo, ma non avevamo quella attenzione, quella sensibilità che solo l’esperienza diretta ti insegna. Joyce ci ha aperto gli occhi. E soprattutto ci ha aperto il cuore”. Da quel legame è nata una nuova consapevolezza, un modo diverso di guardare la vita”. Grazie all’impulso dato da Joyce, Loredana fa parte dell’associazione “Amiche di Lu”, che si prende cura di oltre ottanta cani abbandonati nei dintorni di Napoli, mentre Antonio si occupa della colonia felina all’interno dell’Università Federico II di Napoli, dove ogni giorno si prende cura dei gatti, li sfama, li protegge, li accompagna nella loro fragile quotidianità. “Non avrei mai pensato di farlo. Ma dopo Joyce, è diventato naturale. Lui ci ha insegnato la compassione, il rispetto, la responsabilità. È stato il nostro maestro silenzioso”.