Pellicce, un’industria in perdita per l’Europa: danni ambientali, rischi sanitari e zero benefici economici
La produzione di pellicce nell’Unione Europea genera più costi che benefici per la società. Il nuovo rapporto indipendente “A full-cost account of the EU fur industry”, appena pubblicato da Griffin Carpenter con il supporto di Eurogroup for Animals, Fur Free Alliance, FOUR PAWS e Humane World for Animals, ricostruisce per la prima volta il bilancio economico, ambientale e sanitario completo del settore della pellicceria europea.
Il risultato è inequivocabile: la produzione di pellicce non solo non è più economicamente sostenibile, ma produce un danno netto alla collettività stimato in 446 milioni di euro l’anno.
Un’industria in declino
Nel 2024 i Paesi dell’Unione hanno prodotto circa 6,3 milioni di pelli (principalmente visoni, ma anche volpi, cincillà e cani-procioni), per un valore di 183 milioni di euro.
Un crollo verticale rispetto al 2015, quando la produzione superava i 45 milioni di pelli e i 2,2 miliardi di euro di fatturato. In dieci anni, il numero di allevamenti si è ridotto del 73%, l’occupazione dell’86-92% e il valore economico del 92%.
A oggi, 23 Stati membri dell’UE hanno introdotto divieti totali o parziali dell’allevamento di animali da pelliccia. Restano operative soltanto Grecia, Polonia, Finlandia e, in parte, Ungheria, Danimarca e Romania, ma anche in questi Paesi sono in corso programmi di dismissione.
L’Italia ha chiuso l’ultimo allevamento nel 2022, con una legge nazionale che vieta l’allevamento di visoni, volpi, cincillà e cani-procioni per la produzione di pellicce.
Bilancio economico negativo
Il rapporto rivela che gli allevamenti europei di pellicce sono in perdita strutturale: il prezzo di mercato dei pellami èinferiore ai costi di produzione.
Nel 2024 il settore ha registrato una perdita di 58,4 milioni di euro e una valorizzazione economica negativa (–9,2 milioni), contribuendo a ridurre, anziché accrescere, il PIL europeo.
Nonostante ciò, gli allevamenti continuano a beneficiare di ingenti fondi pubblici.
Solo la Danimarca ha versato 3,2 miliardi di euro di compensazioni agli allevatori di visoni dopo la strage imposta dal Covid-19, una cifra 99 volte superiore alle tasse versate annualmente dal comparto.
In Finlandia e Svezia i rimborsi legati al Covid e all’influenza aviaria hanno superato di fino a sei volte il gettito fiscale del settore.
Il gettito complessivo di tasse e contributi degli allevamenti europei ammonta a 16,6 milioni di euro, contro un flusso di sussidi pubblici che supera ampiamente questa cifra.
Il confronto tra entrate e uscite pubbliche è impietoso: ci vorrebbero cento anni perché gli allevatori “ripagassero” quanto ricevuto.
Impatto ambientale e sanitario
Il bilancio ecologico è altrettanto disastroso. Gli allevamenti generano danni ambientali stimati in 226 milioni di euro l’anno, dovuti soprattutto a emissioni di ammoniaca e polveri sottili, acidificazione del suolo e inquinamento delle acque.
Il particolato fine (PM2.5), prodotto dalla decomposizione dei rifiuti animali, è responsabile di malattie respiratorie croniche e di morti premature anche in Paesi che hanno già bandito gli allevamenti.
A questi si aggiungono i 79 milioni di euro annui stimati per il controllo di specie aliene invasive come il visone americano e il cane-procione, sfuggiti dagli allevamenti e oggi considerati tra i più gravi problemi ecologici d’Europa.
Sul fronte sanitario, il rischio zoonotico è definito “molto elevato”. Gli allevamenti di visoni e cani-procioni offrono condizioni ideali per la mutazione e la trasmissione di virus come SARS-CoV-2 e influenze aviaria e suina.
Gli esperti stimano che i costi di prevenzione sanitaria (vaccinazioni, riduzione delle gabbie, chiusura dei capannoni) ammonterebbero a oltre 200 milioni di euro l’anno, superando il valore dell’intera produzione.
Il nodo del benessere animale
Il rapporto richiama anche l’ultimo parere scientifico dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA, 2025), che conclude che “nessun sistema di allevamento attualmente esistente può garantire il benessere delle specie allevate per la pelliccia”.
I visoni, le volpi, i cincillà e i cani-procioni sono animali riconosciuti come senzienti e soffrono per confinamento, isolamento, privazione comportamentale e stress cronico.
Non esistono – sottolinea EFSA – miglioramenti possibili in grado di rendere accettabile questa forma di allevamento.
Il quadro italiano ed europeo
In Italia, gli allevamenti di visoni hanno cessato l’attività nel 2022. Il nostro Paese si colloca quindi tra i 14 Stati UE con un divieto totale, insieme a Austria, Belgio, Croazia, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Slovenia e altri.
Restano però aziende manifatturiere e laboratori artigianali che importano pelli dall’estero, in particolare dalla Grecia e dalla Polonia, dove nel 2024 erano ancora attivi circa 360 allevamenti (269 in Polonia, 92 in Grecia).
Secondo il rapporto, l’intero comparto della pellicceria europea impiega tra 3.300 e 5.500 lavoratori equivalenti a tempo pieno, pari allo 0,003% dell’occupazione complessiva dell’UE – un peso analogo alla produzione di carta da parati o di sidro.
U n settore insostenibile
Sommando tutti gli elementi – economici, ambientali e sanitari – il bilancio complessivo della pellicceria europea è negativo per 446 milioni di euro.
Il documento conclude che “i costi per la società superano ampiamente qualsiasi beneficio economico” e che la chiusura del settore non avrebbe conseguenze economiche significative ma libererebbe risorse pubbliche e ridurrebbe rischi per salute, ambiente e biodiversità.
Per Eurogroup for Animals e le organizzazioni che hanno contribuito allo studio, “questa analisi conferma che l’allevamento per la pelliccia non solo è eticamente inaccettabile, ma è anche un disastro economico e ambientale. L’Unione Europea ha ora tutte le ragioni – morali, sanitarie e finanziarie – per vietarlo definitivamente”.
Il rapporto integrale è disponibile qui: https://cdn.sanity.io/files/h7z69sg4/production/5ae4d5985288b031ff52997b6e149aff0a65f485.pdf