Pitbull, molossoidi, terrier di tipo bull: nei canili la situazione è fuori controllo. «Perché la politica non interviene?»
di Alessandro Sala
In Parlamento sette diverse proposte di legge che non vengono armonizzate. «Avere un cane non è un diritto, serve consapevolezza. Il rifugio serve a dare una casa a chi non ce l’ha non a tenere rinchiusi gli animali problematici»
Vorrebbero occuparsi dei tanti cani e gatti che non hanno una famiglia ma che la potrebbero avere. Vorrebbero accudirli al meglio e fare tutto il possibile per trovare loro una nuova casa. Ma non lo possono fare, perché buona parte del loro tempo è impiegato nella gestione di cani con problemi comportamentali, quasi sempre di razze di cui sono note le criticità. Pitbull e terrier di tipo bull in genere e molossoidi con tutti gli incroci e le combinazioni del caso. Animali che anche con una certa esperienza sono comunque difficili da gestire. E quando finiscono in mani sbagliate e inesperte diventano bombe a orologeria. Alla fine, poi, finiscono tutti lì, nei canili. Dove gli operatori si ritrovano a fare i «secondini» per conto delle istituzioni. Che qualche volta riescono a togliere gli animali da strade e case lager – e già questo non è scontato -, ma poi li rifilano al personale dei rifugi e per loro il caso si chiude. Ma non è chiuso per niente.
«Siamo stanchi. Non è il nostro lavoro. Noi dovremmo occuparci di randagi che non hanno un proprietario». Il grido d’allarme arriva dalla Lega nazionale per la difesa del cane (Lndc) di Milano che chiede alla politica di fare la propria parte. In Parlamento giacciono sette diverse proposte di legge per affrontare questa emergenza, che è dunque ben nota, ma sono state presentate da deputati e senatori di schieramenti diversi e questo non aiuta. Basterebbe sedersi attorno ad un tavolo, ragionare su come armonizzarle, con l’obiettivo di provare a risolvere il problema. E invece no. Tutto è fermo, il tempo passa. E i canili si riempiono.
Si riempiono di questi animali di difficile gestione, che una volta arrivati nei loro box rischiano di restarci poi per tutta la vita. Del resto, chi lo vuole un cane oggetto di sequestro se appartiene a quelle razze considerate «pericolose», anche se poi pericolosi sono coloro che li hanno allevati e venduti con leggerezza a persone non in grado di occuparsene. Si parla di cucciolate domestiche e spesso anche clandestine, di cani messi in vendita sul web o tramite un passaparola in ambienti dove il possesso di un molosso viene considerato uno status symbol e una forma di forza e di potere, come se questi si potessero trasferire automaticamente dall’animale a chi lo tiene (male) dall’altra parte del guinzaglio.
«L’emergenza non è più solo nei nostri box – sottolinea Elisa Cezza, operatrice del canile di Segrate, gestito proprio dalla Lega del cane -. È nei verbali dei sequestri giudiziari e nelle comunicazioni ufficiali che riceviamo quotidianamente. I casi che si riversano sui rifugi non sono eccezioni, ma la prova che la detenzione di cani di determinate tipologie è completamente fuori controllo e sta degenerando in una crisi sociale e di benessere animale che si trascina da anni, peggiorando in modo drammatico. Il nostro canile non è un caso isolato. È un osservatorio purtroppo privilegiato, un rilevatore che mostra l’incapacità del sistema attuale di prevenire sofferenza e illegalità».
È un fenomeno ben noto quello delle cucciolate clandestine, così come lo è quello delle vendite e delle cessioni sottobanco di questi animali. Il canile è il terminale dove il percorso si conclude. A volte, appunto, per sempre. Nei prossimi giorni a Segrate arriveranno altri tre cani: un cucciolo di simil Dogo argentino, sequestrato a un proprietario che lo maltrattava detenendolo in condizioni inappropriate e tra rifiuti di ogni genere; e altri due terrier di tipo bull, cani «fantasma» agli occhi dello Stato, perché anche se microchippati di fatto non hanno padroni, irreperibili o non coincidenti con i dati di registrazione. Animali senza una guida, candidati a trasformarsi in un problema di sicurezza. Ora forse, fuori, non lo sono più. Ma dentro questo si traduce in altri tre box occupati dove non potranno essere ospitati altri animali bisognosi. «Non sono casi fortuiti – dicono alla Lega del Cane -. C’è un sistema normativo completamente inadeguato, che fallisce nel realizzare una proprietà responsabile e costringe i rifugi a gestire le conseguenze penali, etiche e finanziarie di questa situazione. Avere un cane non è un diritto incondizionato».
Avere un cane significa aggiungere un nuovo membro alla propria famiglia, prendersene cura, dedicargli il giusto tempo e la giusta educazione e anche farsi carico del suo mantenimento, anche dal punto di vista economico. Ma tutti questi concetti, che rientrano sotto la voce di adozione consapevole, non trovano cittadinanza negli ambienti da cui proviene la maggior parte di questi cani considerati problematici. «La radice del problema – sottolinea ancora Elisa Cezza – è la facilità con cui si può ottenere un cane di queste tipologie, che parte dalla riproduzione indiscriminata di soggetti che vengono poi spacciati al primo che passa per la strada o sul web. Arrivano nelle mani più sbagliate. E questo finisce per condannare migliaia di animali a una vita di sofferenza e di reclusione».
Di qui l’appello a fare qualcosa, ora che l’emergenza è approdata in Parlamento, seppure nelle forme variegate di cui si accennava all’inizio. Che cosa? «Tutto quello che si può proporre e porre in atto» dice Lndc. Formazione, «patentino», verifiche di idoneità. Le opzioni sono tante e concorrenti. «Ma fino a quando la legge non interviene a filtrare l’accesso alla proprietà i canili continueranno ad essere il capolinea di una crisi di negligenza».
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